Sulle Alpi, a quasi quattromila metri, dove la temperatura scende a trenta sotto zero, vivono e lavorano pochi uomini e donne nei loro rifugi, ultimi avamposti prima della natura estrema. Sotto, città e fabbriche, uffici e routine. Sopra, cielo e vette, voglia di libertà e di conquista. In mezzo, loro. Professionisti dell'accoglienza al servizio di turisti in cerca d’avventura e angeli custodi per alpinisti che sfidano la montagna, anche a costo della vita, in un ambiente ostile dove è importante adattarsi alle condizioni climatiche e al territorio.
Sandrine, gestisce da sola un nido d’aquila senza acqua corrente, spesso completamente sommerso dalla neve. Armando, amministra una struttura da centocinquanta posti e dieci dipendenti, sul Monte Bianco, da dove prendono il via cordate di scalatori esperti, ma raggiungibile anche da famiglie portate da una avveniristica funivia. Venturino, custode di una specie di baracca a rischio chiusura, nella zona più difficile delle Dolomiti, insieme a sua figlia Maria di nove anni, alla quale sta insegnando il mestiere. In Svizzera la Capanna Rothornhütte dovrà essere abbattuta e ricostruita perché sta crollando a causa dello scioglimento del permafrost su cui poggia e Daniela, rifugista, dovrà ospitare gli operai fino alla conclusione del cantiere.
Alta quota è un film che parla del rapporto tra uomo e Natura, entrando nell’intimità di vite al limite, in un mondo di frontiera sotto la costante e concreta minaccia della crisi climatica.
L’alta montagna è stata raccontata, tanto nel cinema quanto nella letteratura – salvo rare eccezioni – attraverso grandi imprese, avventure mitiche o sfide estreme di alpinisti eroici. Nel nostro film, di eroi, non ce ne sono. Il punto di vista è quello di personaggi da sempre ai margini di quest’epica, i rifugisti. Anello di congiunzione tra gli eterogenei frequentatori di un mondo in bilico tra l’immaginario romantico di un tempo, quando le Alpi sembravano inaccessibili e da scoprire, e la realtà di oggi, turistica e pop, in cui da esplorare è rimasto poco o niente, e rappresenta un importante indotto economico a cui è difficile rinunciare. I rifugisti sono persone normali che gestiscono situazioni straordinarie, confrontandosi con i propri limiti e le proprie (e altrui) ambizioni, in un luogo pieno di conflitti estetici e narrativi, che gli si sta letteralmente sfaldando intorno. Tra ghiacciai che scompaiono, interi pendii che si sgretolano e rifugi che crollano.
Un documentario che fotografa un mondo destinato a mutare inesorabilmente, che necessita di un cambio di paradigma da parte di chi lo frequenta e di chi ci lavora. Che, quindi, racconta il presente (forse già la memoria), ma parla anche di futuro.