Nino faceva il muratore e viveva nella periferia di Palermo con la sua famiglia. Ora vive da solo in cima ad una montagna e fa il profeta. Si fa chiamare Isravele e il nome va letto al contrario per capirne il senso.
Lassù, su di una montagna brulla ai margini della città, c’è la sua dimora: un vecchio osservatorio abbandonato che in vent’anni di lavoro solitario ha trasformato in portentoso tempio naif, considerato uno dei più impressionanti esempi di outsider art in Europa. Isravele sale e scende, ogni giorno, con lo zaino carico di sassolini e cemento, porta in alto il basso e così lo purifica. Trasforma l’incuria in bellezza, tramite un lavoro costante, al limite del disumano, che lui chiama preghiera. Ma da qualche tempo sempre più numerosi turisti e curiosi minacciano la pace di questo luogo, dove si dice viva un uomo misterioso, che annuncia la venuta dell'Apocalisse. Laggiù, in città, lo chiamano l’eremita.
Per raccontare quest’uomo, ho deciso di piantare la mia tenda nel terreno adiacente questo magnifico tempio e di passare le giornate assieme a lui. È così che giorno dopo giorno, per quasi due anni, ho tentato di penetrare il mistero del meraviglioso artista che si è incarnato nel corpo di un muratore semi-analfabeta, Nino, alias Isravele – nome che si è assegnato e che al contrario si legge ‘elevarsi’. Il risultato è un ritratto dell’artista, di ogni artista, la cui esistenza, in ogni tempo e luogo, non può nutrirsi d’altro che dell’irreducibilità assoluta rispetto alle logiche del mondo, di quel mondo che sorge ai piedi del monte sul quale si staglia l’opera di Nino. Un mondo che scorre sempre più veloce verso l’oblio di sé e per il quale l’artista non cessa di essere una scandalo vivente.