Mi chiamo Fatma, cinque anni fa sono venuta in Italia per studiare fotografia, sono fuggita dalla mia famiglia. La mia è una famiglia curda grande come una tribù, e come in ogni tribù molte decisioni sulla vita dei singoli individui vengono prese collettivamente, secondo leggi antiche. Mio padre, ex fiancheggiatore del PKK,vive le contraddizioni tra le sue idee progressiste di gioventù e il ruolo di custode delle tradizioni che oggi riveste. Per questo ho sempre avuto paura di parlargli della vita che conduco a Torino, della mia convivenza con un ragazzo italiano che si chiama Davide. Io e Davide siamo intenzionati a sposarci e abbiamo deciso di annunciare il nostro fidanzamento durante l’estate. Prima di trovare il coraggio di parlare con mio padre ho voluto stare alcuni giorni con lui. L’occasione è stata il matrimonio di una cugina, nel villaggio curdo dove ancora vive parte della mia famiglia. Io e mio padre siamo partiti insieme e mentre io pensavo al mio fidanzamento ho ascoltato le storie d’amore e di matrimoni combinati di alcune mie cugine. E alla fine gli ho fatto la mia confessione…
Partendo dalla storia di Fatma vogliamo dare corpo alla sua idea di un destino famigliare, che affonda le radici nel passato, nella vita delle donne che l’hanno preceduta.
Nonostante queste premesse drammatiche il film intende adottare uno sguardo ironico, capace di cogliere l’assurdità di certi comportamenti ma di mantenere anche la vicinanaza e l’affetto che lega Fatma alla sua famiglia. Lo stile da commedia è insito nella forza e nei gesti dei personaggi, che con la loro irruenza, in modo simile ai protagonisti dei film di Emir Kusturica, spesso agiscono prima di pensare. La storia ci dà modo di parlare dell’attrazione-repulsione di due culture differenti, e del conflitto che si scatena tra esse, che viene personificato dai personagi principali del film: Fatma e babà, suo padre. Vogliamo mantenere il forte stampo personale ed autoriale del film, contando sul circuito distriubutivo dei festival.