Come ventisette anni fa, dopo l'entrata in vigore della legge Basaglia e la chiusura dei manicomi, Quaregna torna nel mondo della malattia mentale.
Ritrova i protagonisti di allora, invecchiati come lui, e ritrova gli stessi deliri e disagi. Il contesto è cambiato: Torino ex capitale industriale, cerca la sua identità tra le rovine dei capannoni dismessi. Nei confronti del malato di mente, certi temi allora brucianti, hanno trovato risposte e una più diffusa e tollerante cultura.
Al momento di cominciare ogni mio nuovo film l'inquietudine mi divora. Come navigante in un mare in tempesta, l'unica certezza è fissare la rotta su quella "stella danzante che sarà partorita dal caos che ho dentro di me" (Nietzsche).
Nel caso de “La distanza - Felicità ad oltranza 27 anni dopo”, ritorno nelle locations del mio primo film, i luoghi della cura della malattia mentale a Torino. Incontro i "matti" che furono allora protagonisti, invecchiati come me di un quarto di secolo, e le nuove leve. Metto seriamente a rischio la mia sanità di mente. Il contesto è cambiato: la città non più capitale industriale, cerca la sua identità tra le rovine dei capannoni dismessi. Nei confronti del malato di mente, certi temi, allora brucianti, hanno trovato risposte e una più diffusa e tollerante cultura. La situazione è meno dirompente che negli anni a cavallo tra i 70 e 80, subito dopo l'entrata in vigore della Legge Basaglia. Tuttavia, mentre la società del quotidiano spettacolo ci propina i deliri di chi è certificato sano dalla prepotenza dell'audience e del consenso di massa, trovo "salutare" immergersi nei deliri di chi si mette in gioco ogni giorno per dirci che non trova la sua stella danzante. L'ultimo giorno di riprese, mentre cerco di mettere "a fuoco" l'album dei suoi ricordi, Maria, ospite da anni della Comunità Althaea, artista sensibile che sa mettere sul foglio la profondità del suo disagio, mi chiede all'improvviso: “Qual'è lo scopo del film?”. Domanda imbarazzante per ogni regista... Come risposta farfuglio: “Darvi la parola...”. Maria mi guarda dritto negli occhi: “Ah, ho capito: metterci nella luce giusta!”.