Da un copione teatrale di V. Franceschi, messo in scena per due stagioni alla fine degli anni '90, è la storia della simbiosi tra due fratelli di mezza età: Antonio, da anni in preda a una crescente regressione infantile, e Valerio che lo accudisce e ne asseconda le manie anche travestendosi ora da padre, ora da madre. All'origine un fatto luttuoso: la donna che doveva sposare Antonio morì in un incidente stradale, provocato da Valerio, il giorno delle nozze. Il rapporto fraterno è scompigliato dall'arrivo in casa di Marianna che Valerio vorrebbe sposare. Non è teatro in scatola. Nel suo esordio registico Haber traspone l'azione a scena fissa sul palcoscenico nello spazio aperto e complesso di un grande appartamento, arredato all'antica (scene di Renato Lori) e percorso dalla mobile cinepresa di Italo Petriccione. Regia funzionale al servizio degli attori, dell'inquietante corpo attoriale di A. Haber, ma anche di Franceschi, sottile nell'indossare la maschera dell'uomo comune con interiori sensi di colpa, e del brio controllato di M. Scattini. Anche a causa di guai distributivi, non ha avuto il successo che meritava. La malattia mentale fa sempre paura.
«Abbiamo realizzato un film poetico, che ti prende la testa e il cuore, ti arricchisce, fa riflettere e fa guardare alla vita. Noi siamo distratti dalla quotidianità e non sappiamo quante storie, dolci o strazianti, si nascondono dentro le case; e quando lo veniamo a sapere rimaniamo stupefatti. "Scacco pazzo" è una di quelle storie che possono accadere ovunque»
(A. Haber)