La vita di due bambini, fratello e sorella, viene stravolta dalla separazione dei genitori e dalla partenza del padre, un funambolo. La loro realtà subisce una spaccatura e dalla campagna dove abitano, le piazze dove si tengono gli spettacoli itineranti, si trasferiscono in città con la madre. Il pensiero del padre assente e idealizzato, si materializza dove appare, sospeso con il suo bilanciere tra i tetti dei palazzi. La figura sognante del funambolo, diventa metafora di distanza affettiva, di una relazione impossibile che due bambini non possono colmare, lasciati a decifrare le dinamiche di un abbandono tra amarezza e ammirazione per quell’amore impossibile. In occasione di uno spettacolo, si incontrano di nuovo. La bellezza dell’esibizione, sulle teste della folla a bocca aperta, manifesta la grandezza della sua arte, ma una volta a terra, vicino a loro, i bambini si devono confrontare con l’uomo, in carne ed ossa e le sue mancanze come genitore.
Mio padre è stato un funambolo per tutta la vita. Ha tenuto con il fiato sospeso gli spettatori in tutto il mondo camminando su un filo d'acciaio sospeso a 30, 50 metri di altezza senza alcuna rete di sicurezza. La bellezza effimera di quegli spettacoli esiste ormai solo nella mente di chi ha potuto vedere con i propri occhi un uomo camminare nel cielo. La sua arte lo ha sempre portato altrove, fino a lasciarci completamente al momento della separazione da mia madre. Durante l’infanzia, tutto è insegnamento, anche un abbandono, insinuandosi nelle fibre della persona generando una consapevolezza distorta di cosa significa essere amati. Sanare un trauma è un cammino che dura tutta una vita che per tutti inizia con il guarire le speranze tradite di quel bambino, lasciato a districare le ragioni di un abbandono. Nel mio percorso è stato fondamentale ritrovarmi nello specchio del cinema, con sincerità, voglio condividere la mia storia, sperando che possa risuonare in quella di altri.