Il film inizia con le immagini di un’intervista a Primo Levi realizzata poco prima della sua morte, in cui lui dice di credere ancora, nonostante tutto, alla democrazia. L’intervistatore si infiamma e chiede: “La democrazia è una religione?” Al che Levi lo guarda perplesso e con la massima soavità risponde: “No, è una tecnica”. Questa idea della democrazia come tecnica è fondamentale: infatti l’esportazione di una tecnica dove non ci sia la cultura per capirla produce clamorosi fallimenti, come abbiamo ben visto. E forse proprio questo è al cuore della crisi della democrazia accidentale: l’invecchiamento di una tecnica rispetto alla trasformazione dei tempi. Ma cosa ne sappiamo davvero del funzionamento della democrazia? L’idea del film è semplice ma radicale: filmare l’attività quotidiana della Camera dei Deputati per un dato periodo, con uno stile che è una via di mezzo tra un documentario naturalistico e un film di Fred Wiseman, raccontando come non è mai stato fatto il senso di “fare politica” dall’interno.
Nella mia vita ho assistito a svariate forme in cui si è svolto il dibattito politico pubblico, dagli infuocati anni ’70 all’attuale “paralisi” della democrazia rappresentativa, formalmente ineccepibile ma nello spirito sempre più lontana dalla vita dei cittadini. Da qui l’idea di fotografarne lo stato, senza pregiudizi e (forse) senza conclusioni, semplicemente usando la capacità di osservazione del cinema. Che non è strumento per illustrare tesi precostituite, ma per indagare oltre gli alibi delle parole.