Un prete, di nascosto, trasporta, su un carretto e chiuso in un baule, il corpo di sua madre, che egli ha aiutato a morire, su per le montagne, al fine di seppellirlo sulla riva di un lago, vicino al confine. Durante il suo viaggio, l’uomo, persosi, incontra una pastora che trasporta clandestini oltre il confine. La donna, dietro pagamento, lo aiuta nella sua impresa, scoprendo solo a un certo punto cosa trasporta il prete nel baule. I due personaggi, agli antipodi per la loro personalità, durante un viaggio pieno di traversie, hanno modo di conoscersi e di provare un’intesa e un’attrazione inaspettata l’uno per l’altra.

La vicenda, di per sé assurda, è rappresentata come fosse una fiaba o un mito, senza un riferimento a un luogo e a un tempo precisi. Lo stile visivo del film è evocativo, ma sobrio, mai estetizzante. La macchina da presa è a stretto contatto fisico coi personaggi, per restituire una sensazione tattile e corporea della scena. I paesaggi e gli ambienti, naturali e selvaggi, non fungono da meri sfondi pittoreschi, ma rappresentano una cornice simbolica per il percorso dei personaggi. La recitazione degli attori è molto fisica, espressiva, costruita sugli sguardi, sui silenzi, sui non detti. Molto importante è la colonna sonora, composta dalle poche parole dei personaggi, dai rumori ambientali e da una musica scarna e suggestiva.

Ma veniamo al tema del film, così forte e delicato: l’eutanasia. Il prete, su richiesta dell’anziana madre, le ha procurato intenzionalmente la morte, perché gravemente malata e senza speranza di guarire. Questa azione nel film non si vede, è solo raccontata dal prete, per cenni, alla donna che lo accompagna. L’uomo, profondamente e convintamente cattolico, è tormentato dal senso di colpa per ciò che ha fatto e non si dà pace, ma l’amore per la madre è talmente forte che lo ha portato non solo ad aiutarla a morire, ma a volerne trasportare il corpo, nascosto in un baule, su un carretto, presso un lago di montagna, dove andava sempre con la madre durante la sua infanzia e lì seppellirla. È un’azione folle e illegale, ma il prete la porta avanti ostinatamente, quasi fosse un’espiazione per il peccato commesso, con l’aiuto della donna che, cammin facendo, si accorge del senso profondo e tragico del gesto dell’uomo. La donna, per indole ed esperienza di vita più vicina alle leggi della natura, invita il prete a non sentirsi in colpa per ciò che ha fatto perché sua madre non aveva più speranza di vivere, al che l’uomo, si arrabbia e le risponde “la mia colpa non avrà mai fine” e la donna controbatte “questo è ciò che pensa la tua chiesa”. L’uomo, estremamente contrariato, si allontana da solo, ma ha bisogno della donna per raggiungere il lago e i due si ricongiungeranno ancora una volta per portare a termine la missione, sempre inseguiti da un elicottero della polizia che resta fuori campo e rappresenta la legge dello stato.

L’ultimo viaggio non è un racconto a tesi, non vuole dimostrare la validità di un’ideologia, si propone piuttosto di porre una questione etica ed esistenziale profonda: il rapporto tra fede religiosa e fine della vita, attraverso la vicenda di due personaggi molto diversi che, pur avvicinandosi umanamente, non cambiano nell’intimo le loro posizioni e il loro sguardo sulla vita e sul mondo.

Regia
Lorenzo Ceva Valla e Mario Garofalo
Fotografia
Pietro De Tilla, Elvio Manuzzi e Vasco Menichelli
Montaggio
Federica Ravera
Musica originale
Max De Aloe
Suono
Angelo Galeano (fonico di presa diretta); Duccio Servi (montaggio sonoro e mix audio).
Aiuto regia
Jurij Razza
Interpreti

Fabio Marini (il prete), Debora Zuin (la donna)

Direttore di produzione
Iacopo De Gregori
Produttore
Lorenzo Ceva Valla
Co-produttore
Produzione
Ainom films
con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte
Distribuzione
Oui Ni Oui
Ultimo aggiornamento: 15 Aprile 2025