Il documentario prende avvio dalla fine: vale a dire da quel fine settimana del 26/27 Agosto 1950.
E’ l’ultimo, frenetico giorno di vita di Pavese.
Si aggira per la città deserta, cerca amici che non trova, scrive, telefona.
La domenica sera, in un Albergo presso la stazione di Torino, mette fine alla sua vita.

Questo epilogo, è la premessa per raccontare un’altra storia.
La storia di un uomo, di uno scrittore, di un intellettuale che nella sua breve vita è riuscito a reinventare, soprattutto a ricreare un nuovo mondo letterario e culturale che ha segnato e dato identità alla seconda metà del novecento italiano.

Per meglio evidenziare tutti gli aspetti del suo eccezionale talento, il documentario è suddiviso in vari capitoli: tanti quanti i mestieri che ha sperimentato.

Pavese, è il poeta appena ventenne che scopre la poesia narrativa; Pavese è il giovane scrittore che si cimenta nel romanzo breve spiando e radiografando il tempo dell’adolescenza, specialmente dell’adolescenza femminile; Pavese è l’instancabile scopritore di parole, di slang americani, di linguaggi bassi e quotidiani, grazie ai quali traduce e porta nell’Italia provinciale degli anni trenta, la sconosciuta letteratura americana: da Faulkner a Dos Passos, da Gertrude Stein a Steinbeck; Pavese, insieme a Giulio Einaudi e ad un gruppo di straordinari ragazzi usciti, -come lui - dal Liceo D’Azeglio, contribuirà a far nascere nel 1933 la Casa Editrice Einaudi.

Tutto questo, visualizzato attraverso una selezione di materiali di repertorio, a molte interviste e soprattutto a suggestioni visive e musicali ricreate nei luoghi tradizionalmente pavesiani che fanno da sfondo immaginario ai suoi testi, alle sue lettere, alle sue poesie, ai suoi diari.

Un tempo e un paesaggio dunque per evocare la sua epoca ma che, a ripercorrerlo oggi con gli occhi del “nostro tempo”, ci restituiscono un Pavese molto più attuale e contemporaneo di quello che credevamo di conoscere.

Sono nata in Piemonte, cresciuta a Torino, da più di quarant’anni vivo a Roma.
Pavese certo l’ho incrociato nella mia adolescenza torinese e non solo. Ovviamente l’ho amato, l’ho letto.
Ho imparato a memoria molte delle sue poesie. L’ho messo tra i ricordi  di quel  fruttuoso passato vissuto nella Torino irripetibile degli anni sessanta.
Ritrovarlo  e rileggerlo oggi, a distanza di tanti anni, è stata  per me  una  vera e propria folgorazione.
Prendi in  mano i suoi romanzi, le sue poesie,  soprattutto i suoi diari e già dalle prime righe  capisci che ti sta parlando del “presente”. Non del suo  presente, ma del “nostro.”  
Mette in scena  la complessità degli eventi e ti fa  capire che non  hai scampo.
Ti costringe a non cercare risposte semplici, ti sbarra la strada se provi a schierarti. Ti mette alla prova.
Lui non spiega, non suggerisce, non cerca la tua approvazione.
Quel Pavese che ricordiamo frettolosamente come il poeta infelice, suicida per amore, probabilmente è  molto di più. Forse è l’intellettuale scomodo che oggi ci manca, l’antipatico mai compiacente che ti complica la giornata, il magnifico compagno di viaggio che - nelle colline di Santo Stefano Belbo - ti fa intravedere il mare azzurro di Itaca.
Ho lasciato un Pavese che credevo locale e generazionale, ho ritrovato uno scrittore con  il respiro  dei “classici”

Giovanna Gagliardo

Regia
Giovanna Gagliardo
Sceneggiatura
Giovanna Gagliardo
Fotografia
Roberta Allegrini
Montaggio
Emanuelle Cedrangolo
Produzione
Luce Cinecittà
con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte
Distribuzione
Luce Cinecittà [Italia]
Ultimo aggiornamento: 19 Settembre 2024