Le montagne dell'Appennino calabrese si specchiano sul mare, sembrano vuote, disperse. Ma a guardare bene, tra gli alberi secolari e le strade che si arrampicano verso il cielo, non c’è nulla di più pieno. Le montagne emettono frequenze che smuovono; assorbono e riflettono la luce. Sono come la foresta di Lyman, lassù nel cosmo, che ci permette di vedere l’idrogeno tra le linee di assorbimento. Non poteva che tornare qui Sandra Savaglio, dopo una vita passata nei migliori centri di astrofisica del mondo, in un luogo che a specchio riflette i misteri dello spazio. Fra cani, nipoti, astrofisici di fama internazionale, ammiratori, preti, palazzi non finiti, alberi secolari, spazzatura per strada e stelle visibili come in poche altre parti del mondo. Tutto questo, in attesa dell’esplosione di una Supernova. Alla fine, Sandra vorrebbe solo questo: una luce così potente da riempire il cielo e illuminare la sua terra.
La scienza nei documentari è divulgazione. Sciorinare teorie scientifiche con parole semplici, per far capire allo spettatore le regole che governano il nostro mondo. Ma la scienza al cinema può e deve essere altro. Ad esempio, può parlare dell’essere umano. Usare accadimenti lontanissimi nel tempo e nello spazio, come l’esplosione di una supernova, per esplorare anime travagliate. Il film parla di Sandra Savaglio, una delle più importanti astrofisiche italiane che improvvisamente, un giorno, ha deciso di tornare nel suo anonimo paese in Calabria. Ma non è una biografia. Perché parla anche di sua nipote Cristina, che vorrebbe andare via, ma è incatenata alla propria terra, di Angelo, che vorrebbe riaprire un planetario abbandonato, di Emiliano e dei suoi Santi in processione. Questa è per noi la scienza al cinema: il cielo che si collega alla terra. È Sandra che toglie la polvere che ci impedisce di guardare la luce delle galassie, mostrandoci quell’assurda entità cosmica chiamata Calabria.
Anna D’Urbano (post-produzione)
Sandra Savaglio