Nel 2009 ricorre il bicentenario della nascita del Cardinale Guglielmo Massaia. Un piemontese che ha lasciato un'impronta fondamentale nella storia missionaria. Nato a Piovà d'Asti l'8 giugno 1809, diventa frate cappuccino nel 1826. Cappellano dell'Ospedale Mauriziano di Torino, è anche assistente spirituale di Vittorio Emanuele II, di San Giuseppe Benedetto Cottolengo e dello scrittore Silvio Pellico.
Nel 1846 il papa lo nomina Vicariuo Apostolico della popolazione dei Galla, in Etiopia. Lì passerà, tra alterne vicende, 35 anni di missione. Attraversa otto volte il Mediterraneo e dodici volte il Mar Rosso. A questo si aggiungono i quattro viaggi in Terra Santa e i quattro esili. Non si possono contare gli innumerevoli rischi di morte, spesso inventando soluzioni originali e roccambolesche per risolvere problemi quasi insormontabili. Tutto questo nel cuore dell'ottocento, senza particolari appoggi, quando la parola Africa conserva un alone di mistero, quasi fosse un'altro pianeta. Scrive il primo catechismo in lingua Galla e, parallelamente, cura in prima persona malattie endemiche come il vaiolo, tanto da essere nominato Padre del Fantatà (Signore del Vaiolo). Oltre ad essere un missionario è medico, chirurgo, ingegnere e diplomatico.
Torna in Italia nel 1879, esiliato dall'Imperatore Johannes IV. Papa Leone XIII lo promuove prima Arcivescovo e poi Cardinale nel 1884. Della sua vita si conosce moltissimo. Questo grazie a lui, che in tarda età, rientrato in Italia, sempre su invito del papa, scrive le memorie della sua vita. Un manoscritto di poco meno di quattromila pagine, che rappresenta, in modo preciso, una vita da film. Infatti, negli anni trenta, per la precisione nel 1939, al Festival di Venezia vince il Leone d'Oro una pellicola dal titolo Abuna Messias. Un vero e proprio kolossal promosso dal regime fascista che intende utilizzare questa figura come simbolo per le conquiste imperiali del Duce. Dirige il film Goffredo Alessandrini. Uomo fedelissimo di Mussolini, regista di numerosi lungometraggi simbolo del ventennio (uno fra tutti Luciano Serra pilota, con protagonista Amedeo Nazzari). Cinecittà per l'occasione si mobilita in una produzione che vuole stupire anche per i numeri. 250.000 comparse. 500 metri cubi di legname per le costruzioni. 50.000 metri di negativo di pellicola impressionata e molto altro, a testimonianza di un'operazione faraonica che, per l'epoca, vuole stupire il mondo e imporre il cinema italiano all'attenzione della produzione mondiale. La San Paolo è capofila del progetto.
L'obiettivo del progetto è quello di mettere in evidenza la storia di un uomo che è stato pioniere nel suo campo: quello della missione. Un piemontese che ha superato i confini di un mondo che era ancora molto chiuso, per arrivare, in pieno ottocento, a confrontarsi con uomini, culture e tradizioni profondamente diverse. L'Africa era, all'epoca, ancora percepita come un continente misterioso e pieno di insidie, come ogni cosa che non si conosce. Guglielmo Massaia riesce, da solo, ad avvicinare un pò di più delle terre che venivano viste come dei mondi che non avevano nulla a che fare con la vita di chi viveva in Italia o in Europa.
Altro obiettivo è quello di aprire un'indagine sul film. La strada per conoscere Guglielmo Massaia passerà anche attraverso l'unica pellicola a lui dedicata: Abuna Messias. Che cosa è rimasto di Abuna Messias? Un lungometraggio che ha fatto la storia del cinema, che ha vinto il Leone d'oro a Venezia nel 1939, dalle proporzioni mastodontiche e di cui non si ha più memoria. Per numero di comparse, forse, il più grande kolossal di tutta la storia del cinema. Che cosa rimane oggi di quell'operazione? E perchè proprio dedicata al Massaia? Le risposte a queste domande ci aiuteranno a conoscere la storia di un film, attraverso la vicenda di un frate cappuccino piemontese, nato fra le colline astigliane e vissuto, per lunghi anni, in Etiopia.