Mietta è una settantenne italiana, benestante, che è arrivata all’età della pensione, sola e con un desiderio di maternità irrealizzato. Per tutta la vita è stata giudice al tribunale dei minori di Milano, ma una famiglia sua non l’ha mai avuta. Finché dal suo passato è ritornato Ibu, e improvvisamente è cambiato tutto. Vent’anni prima, quando lui era appena arrivato dal Senegal, avevano avuto una relazione. Oggi Ibu è sposato con sua cugina Boussò e vorrebbe che loro figlio nascesse in Italia. Così, Mietta si offre di ospitarli durante la gravidanza. Presto, però, quella che dovrebbe essere una soluzione temporanea cambia forma, perché, dopo la nascita del piccolo Khadim, Mietta non vuole più staccarsi dal bambino e decide di vendere casa sua per comprarne una più grande, dove cominciare una nuova vita tutti insieme. Ma cosa desidera davvero Mietta da questa convivenza? Potranno mai essere una famiglia?
Conosco Mietta dalla mia infanzia. Era l’amica di famiglia, single e trasgressiva. Amavo Il suo umorismo cinico e il carattere libertino. Quando, cinque anni fa, ho saputo che stava vendendo casa per andare a vivere con una coppia migrata dal Senegal e il loro bambino, sono rimasto colpito: a 70 anni, Mietta aveva deciso di cercare una famiglia, di tentare quest’avventura ancora una volta fuori dalle convenzioni. Mi ha subito affascinato l'idea di raccontare una parabola sulla convivenza, la possibilità di cogliere sul nascere qualcosa che somigliasse a quelle forme di parentela descritte dagli antropologi, lontane dall'idea di famiglia tradizionale dell'occidente, una sorta di fiaba antropologica contemporanea. Filmando, però, mi sono ritrovato davanti a una realtà decisamente più complessa.