Miguel ha 16 anni. Viene da Lamon, un piccolo paese delle Alpi.
Una notte, ruba l’auto dei suoi genitori e, senza patente, guida fino alle terre alte per rincorrere un mondo fatto di manti, terra, stories su instagram e musica trap. Miguel vuole fare fare il pastore nomade. Scapestrato e impavido, posta la sua vita sui social network, per rimanere in contatto con la sua community di amici nomadi. Spesso considerato un estraneo, fuori dal tempo, si contende pietre e còlchici con i lupi, con turisti invadenti e coi montanari locali. In un momento transitorio come l’adolescenza, Miguel torna a casa solo due volte l’anno. Una di queste, è per la sagra di Lamon, l’evento imperdibile in cui incontra finalmente i suoi amici.
Il film è un ritratto di Miguel, attraverso il quale si esplora un mondo di contraddizioni: tradizione e contemporaneità, mondo fisico e virtuale, solitudine e comunità.
Una visione contemporanea delle Alpi, teatro oggi della complessità con cui interpretiamo e ci rapportiamo al paesaggio, soprattutto al tempo del cambiamento climatico. Queste montagne urbanizzate e secche condizionano profondamente la vita dei pastori nomadi che devono percorrere più chilometri alla ricerca di erba e acqua per i propri animali. Nonostante questo Miguel e gli altri giovani pastori resistono con speranza. Collegati attraverso le nuove tecnologie, postano su Instagram le loro giornate con fierezza e leggerezza. I pastori che incontriamo non sono pastori appartenenti a un immaginario nostalgico/bucolico. Sono giovani in contatto tra loro grazie ai social, ragazzi che hanno vissuto in città, hanno studiato e che semplicemente hanno scelto un lavoro considerato antico.