Un anziano contadino emarginato da tutto e da tutti, un camionista che da decenni percorre le valli per portare il cemento nei cantieri della modernità, una micologa esperta nella conservazione di pellicole cinematografiche. Le loro esistenze prendono vita a partire dal materiale conservato da un archivio di cinema familiare: centinaia di ore girate da cineasti anonimi, che tra gli anni ’30 e i nostri giorni hanno documentato le diverse stratificazioni lasciate in montagna dall’azione umana.
Attraverso uno sguardo spaesato e irriverente, la narrazione si addentra in un mondo alienante, esplorando un deserto che è metafora dell’archivio audiovisivo, spazio vuoto che conserva le tracce della vita che fu. Il terzo deserto ambisce a fornire un’inedita rappresentazione del rapporto tra gli italiani e le montagne, restituendo nuova vita a immagini d’archivio sepolte nell’oblio. È il racconto di un luogo lontano, uno spazio straniero compreso all’interno del territorio italiano: le Alpi.
Un film sulla montagna, o meglio: sullo sguardo che gli italiani hanno rivolto alle loro montagne, rimasto impresso nei materiali d’archivio del cinema di famiglia. L’antropologo James Clifford auspica, per le società occidentali, uno sguardo capovolto, che a partire da un immaginario “esotico” si posi sulle nostre società, per analizzarne debolezze e virtù. In montagna più che altrove, è possibile capovolgere il nostro sguardo e osservare con occhi diversi quello che siamo e quel che vorremmo essere.
Terre di conquista e di rapina, le Alpi sono sempre state raccontate con lo sguardo del colonizzatore. Lo sguardo audiovisivo sulla montagna non ha mai abbandonato una certa retorica, e si è dimostrato poco propenso a esplorare nuovi linguaggi. Ecco dunque una proposta fresca e irriverente, sviluppata per utilizzare in chiave inconsueta un materiale d’archivio straordinario, per riflettere sul rapporto degli italiani con la rappresentazione delle loro montagne, e dunque di se stessi.