Dopo decenni di transumanze, il pastore Antonio non può più portare i suoi animali sulla “montagna sacra”, a causa di nuove leggi imposte dal villaggio. Malgrado conflitti che vanno sempre più inasprendosi, Antonio cerca di resistere per mantenere il suo posto nella comunità.
Dopo che una mia amica mi parlò del Cilento, andai a girare un cortometraggio in quelle zone e lì conobbi Antonio: “Nessun posto al mondo” racconta la sua storia, quella di un pastore che non riesce a far convivere le sue leggi interiori con quelle della comunità. I compaesani di Antonio si concedono la trasgressione di “uscire dagli schemi” una sola notte all’anno per la processione della Madonna: tra urla, grida, spari, questo pellegrinaggio è il modo del villaggio per spogliarsi delle regole sociali e ritrovare l’animalità. La vicinanza al mondo rurale ha sollevato in me questioni e riflessioni quali: come si può salvaguardare la propria parte animale facendo parte della società? È possibile o “nessun posto al mondo” lo permette? Ho iniziato così a filmare, ho vissuto la storia di un luogo e ho partecipato al dramma intimo di un singolo che echeggia in un dramma collettivo: ho constatato infatti che i pastori di questo territorio, guardiani delle tradizioni legate ai ritmi della natura, stiano assistendo alla fine di un mondo. Antonio è il filo rosso di questa storia e il testimone di questo territorio, il personaggio attraverso il quale guardare questa parte di mondo.