A vent’anni la vita era un libro pieno di pagine bianche tutte da scrivere. Mi sentivo invincibile e forse, sotto alcuni aspetti, lo ero davvero. Mi divertivo, non mi facevo mancare niente. Giravo con la mia moto in lungo e in largo, facendomi ispirare dall’umore della giornata appena iniziata. Le donne mi adoravano e io adoravo loro. E poi: giocavo a basket! E quando la folla esultava al mio ennesimo canestro, sentivo veramente di stare in cima al Mondo; là, da dove nessuno mi avrebbe mai fatto scendere.
Ma è vero quello che dicono, che la vita è qualcosa che ti capita quando sei impegnato a programmare tutt’altro. Che ogni volta che salti per tirare la palla a canestro, non importa quanto alto sai andare, prima o poi la gravità ti riporta giù, con i piedi per terra.
Dear Cochise è un viaggio dell’eroe, che attraverso gli elementi biografici del cestitsta John Fultz (astro della Virtus Bologna negli anni Settanta) porta alla luce le evoluzioni interiori di questo grande atleta, travolto sia dal successo che dal fallimento. Un’ascesa, un declino e una (mezza) redenzione, in quella che, alla fine, è la storia di un uomo che viene a patti con le proprie contraddizioni. Attraverso delle lettere che il protagonista scrive, via via nel corso delle sue vicende - alla famiglia, agli amici e alla fidanzata - ci caleremo in una dimensione interiore e intima del personaggio, in equilibrio tra le interviste ai testimoni dell’epoca (che conducono lo spettatore nei luoghi delle vicende) e alcune ricostruzioni in fiction. Il tutto, condito con una colonna sonora dalla forte personalità, che ci ri-proietta immediatamente nelle atmosfere rocambolesche degli anni Settanta.