Tommaso è un medico, un chirurgo vascolare. Sotto i cinquanta, abita a Torino. Un uomo buono, gentile, divertente, che fatica a mostrare la profondità delle proprie emozioni. La sua vita è il suo lavoro. È un luminare, un genio, uno dei migliori del mondo. E’ a Tunisi per un convegno internazionale. Ne ha approfittato per portare con sé Michele, il figlio adolescente. E’ sposato con Caterina da quando era ancora studentessa nella stessa facoltà in cui lei ora insegna. Ormai li divide tutto, lei cerca spesso un pretesto per scatenare una lite. A Tunisi Tommaso le compra un regalo, un vestito molto bello e costoso, in un negozio in Avenue Habib Bourguiba. Si fa aiutare dal figlio, lo scelgono insieme. Alla fine del suo intervento ripartono per Torino. In taxi, insieme al figlio, si accorge di aver dimenticato il pacco in albergo. Torna indietro, sa che perderà l’aereo, ma non importa. Il regalo è più importante, vale qualche ora di attesa. “La mamma si incazzerà a morte quando le diremo che tardiamo”, dice il figlio. Perdono l’aereo, partono con il successivo. Appena dopo il decollo, l’aereo precipita a largo della costa. Tommaso si scopre in acqua, la linea dell’orizzonte è un cerchio di fuoco che abbraccia la notte. Il dolore è ovunque, il panico e la paura lo tengono vigile, cerca di nuotare, urla il nome di suo figlio, ma Michele non c’è, non lo vede, ci sono corpi che galleggiano, bagagli, frammenti di aereo, lui non ce la fa, sta per lasciarsi andare all’acqua, poi qualcuno grida qualcosa, c’è una corda, un salvagente, si aggrappa come all’uscita da un sogno. Una mano lo tira in secco. Si sveglia in ospedale. L’uomo che lo ha salvato è un battelliere tunisino, si chiama Samir. Tra sensi di colpa, vicinanza, amicizia parte una storia di solidarietà al contrario in cui la parte debole diventa forte in un continuo rovesciamento di pesi e proporzioni.
Mi piace pensare a questo film come ad un film su Lo scambio.
Su come in un momento della nostra vita il destino possa decidere per noi senza permetterci di ribellarci. Quale padre non darebbe la propria vita per il figlio e che vita è quella segnata dal più atroce dei dolori? Oltre che rappresentare una forzosa inversione del normale ciclo naturale: nessun padre dovrebbe sopravvivere al proprio figlio costituisce una vera e propria punizione, una sofferenza senza uguali, quasi un castigo quello di continuare a vivere. Ed infatti, esausto, in acqua il padre sembra quasi lasciarsi annegare per raggiungere il figlio, ed è contrariato, arrabbiato, furioso quando scopre di essere stato salvato. A maggior ragione se questo scambio, in questo caso impossibile, non è avvenuto per tutta una serie di minuscole coincidenze, fatalità, che viste successivamente generano nel padre un irreprimibile senso di colpa attribuendosi responsabilità che magari non ha: se tutto ciò è successo è solo colpa sua.
Ma c’è un altro scambio che il film racconta, questo sì permeabile, dalla notte dei tempi: la vicinanza umana, l’empatia, che travalica monti e culture e consente al giovane tunisino di comprendere il dolore di quell’altro padre e di tenerlo con sé, come un fratello. Questo scambio è così riuscito che l’italiano non esita ad intervenire per salvare il giovane tunisino prima col danaro e successivamente con le sue mani, la perizia chirurgica che lo ha reso famoso nel mondo. L’operazione purtroppo non riesce e Tommaso avrà un altro macigno sul petto di cui liberarsi, quasi un altro figlio che non è riuscito a salvare. Eppure lo scambio prosegue ine conAnissa: il sesso consumato con lei dopo la morte di Samir, è quasi come una catarsi, dal vago sapore sacrificale che sembra appunto trasformare in capro espiatorio[1]proprio l’amore puro che lei nutriva per il marito.
Non è un film di parole, ma di sguardi, di silenzi, di pause. E’ una storia che vive nel rispetto del dolore dei protagonisti ed è un film che avrà bisogno di grandi interpreti per rendere visibile quanto di più inconoscibile vi è nella seduzione del dolore, nella consapevolezza che spesso invece di vivere, ci sembra di attendere la morte; e di come non bisogna mai rimandare ad altri momenti i pochi istanti di felicità che la nostra esistenza ci offre.
La sceneggiatura segue l'andamento silenzioso dei personaggi, attraverso il racconto delle pause, i silenzi e l'uso di dialoghi secchi e scarni. Non sono personaggi questi, a causa del dolore che devono affrontare, che hanno tanta voglia di esprimersi con le parole. Conterà moltissimo il sottotetto e l'intensità dell'interpretazione. Le scene sono brevi, il ritmo è alto (grazie al gran numero di scene rispetto a quello delle pagine). Non è stato facile scrivere della ambientazione e dei personaggi tunisini, ma abbiamo avuto un utile supporto nella collaborazione con i nostri co-produttori di Sindbad Production.
Immagino un film dalla regia classica, rigorosa, un uso frequente ma non isterico della macchina a mano, il contrasto nelle ambientazioni, ricche colorate opulente degli alberghi maestosi o della casa italiana di Tommaso, con le misere, semplici, modeste ma vive location del mondo di Tommaso, che non è mai a disagio anche quando deve contrastare criminali veri e non bravi ragazzi come lui. Ma tutto in una luce plumbea, spesso notturna e quasi senza musica, salvo una punteggiatura scarna magari di piano e viola, nella partitura modernissima e minimal di Teho Teardo che ha già scritto per me le musiche d i Gorbaciof. Un film che parli a tutti senza sostenere teorie o portare messaggi, una storia semplice su due forze imprescindibili della vita: Amore e Morte.