“Riuscirò a ‘raccontare’, senza farne una biografia, un personaggio enorme e complesso come Rita Levi-Montalcini avendo solo 100 minuti a disposizione?”
“Sarò in grado di evitare la terribile trappola della banalissima cristallizzazione santificatoria e istituzionale della donna sola, eroica, con l’aureola che, in un mondo maschile, arriva predestinata come Giovanna d’Arco al traguardo del Nobel?”
Sono domande che mi accompagnano e ‘tormentano’ fin dal primo giorno in cui noi sceneggiatori ci siamo trovati per capire come scrivere il film e che forse mi abbandoneranno solo dopo la prima proiezione pubblica. Dico forse, perché è estremamente probabile che il ‘contatto’ con il grande pubblico mi faccia scoprire ‘errori’ e/o ‘mancanze’ delle quali fino a quel momento non ho avuto consapevolezza.
Scrivere questo film è stato un percorso molto complesso e articolato, fatto di ripetute letture di tutti i libri scritti da Rita Levi-Montalcini, ricerche e selezioni di materiali d’archivio e visione di moltissimi filmati con sue dichiarazioni per noi determinanti, che ci hanno consentito di affrontare quest’impresa nel modo più documentato possibile.
Un apporto creativo, per me significativo è stata la presenza di Monica Zapelli, la co-sceneggiatrice che ha contribuito ad ‘esplorare’ e mettere su carta l’universo emotivo, psicologico, comportamentale e umano della nostra protagonista femminile. Ma la complessità era dovuta anche al fatto che non dovevamo solo affrontare un personaggio planetario come Rita Levi-Montalcini ma anche i suoi collaboratori più stretti, e primo fra tutti il suo Maestro, il suo mentore, il Professor Giuseppe Levi, il padre della scrittrice Natalia Ginzburg, l’uomo che, all’Università di Torino, ha fatto da ‘levatrice’ a ben tre premi Nobel Italiani: Luria, Dulbecco e Montalcini.
Risolutiva e preziosissima è stata la presenza di attori straordinari come Elena Sofia Ricci, quotidianamente sottoposta ad un invecchiamento di oltre quattro ore frutto di intere giornate di prove e correzioni preliminari che le lasciavano sul viso interamente coperto da un calco di gesso, solo due piccoli forellini per poter respirare dal naso, prove alle quali la nostra interprete si è sottoposta con un’abnegazione assoluta, attori superlativi come Franco Castellano (il Professor Levi), Maurizio Donadoni, Luca Angeletti, Ernesto d’Argenio ed Elisa Carletti una sorprendente violinista di soli 12 anni che non aveva mai recitato prima e numerosi altri splendidi attori hanno contribuito in modo de-terminante dal primo all’ultimo, come una splendida orchestra costi-tuita oltretutto anche da formidabili collaboratori per la Scenografia, i Costumi, il Trucco, la Fotografia e la Musica, a diventare anch’essi, tutti, coautori a pieno titolo di questo film. Indispensabile è stata la presenza con noi, durante le riprese, di Piera Levi-Montalcini, nipote di Rita, che ci ha quotidianamente suggerito, e spesso ‘corretto’, indicandoci anche quali fossero persino i colori preferiti per gli abiti, i gioielli e le scarpe della zia. Alcune antiche collaboratrici del nostro premio Nobel ci hanno as-sistito sul set per indicarci tecniche, manovre e strumenti che venivano utilizzati nei laboratori del CNR diretti da Rita Levi-Montalcini. La messa in scena è stata quindi anche un’impresa quotidiana fatta di verifiche e scelte che in fase di sceneggiatura sembravano poter resistere a ogni ‘avversità’, quasi avessero la forza di una formula matematica, ma che al momento della verità, con interpreti in carne e ossa, con gestualità, voci, timbri, tonalità e talenti incredibili, sono state messe in discussione con un’evidenza talmente immediata e incontroverti-bile che a volte hanno ‘smontato’ settimane di disquisizioni cerebrali a tavolino del tutto teoriche e astratte. Durante la messa in scena accade spesso che un solo gesto o uno sguardo o una sola parola siano in grado di sostituirsi con grande efficacia a battute che sulla pagina occupano inte-re righe che si rivelano inutili perché meno efficaci sia emotivamente che drammaturgicamente. Ecco, è stata questa in fondo la mia meta, lo è da sempre: raggiungere con grande semplicità la capacità di emozionare, commuovendo, divertendo o rattristando, i futuri spettatori. Emozionare senza tradire la verità, emozionare senza abbandonare il rigore ‘scientifico’ della narrazione, emo-zionare senza manipolare quel che costituisce la struttura profonda dei fatti che si conoscono e senza scendere a compromessi di convenienza o di ‘pancia’. Sono questioni che accompagna-no da sempre il mio modo di portare a termine i miei compiti di narratore cinematografico. E da sempre li considero estremamente più importanti di qualsiasi indice di ascolto perché sono solo il tempo e la distanza che stabiliscono i giusti valori.
Alberto Negrin