La voce di Arturo è un film che nasce da un mio sentimento e una mia ricerca sul sentirsi disorientati, fuori posto in un mondo che cambia continuamente e che ti chiede di “essere” senza fermarti mai. Una ricerca sull’autenticità, quella di saper ascoltare la propria voce. Sentirla vibrare dentro senza imbarazzi, con coraggio.
Durante il primo percorso di ricerca ho lavorato su un profilo psicologico che riprendesse la figura dell’inetto, di chi non riesce a collocarsi e che la propria bontà mette in continua difficoltà. Mi sono imbattuta, grazie al racconto “L’uomo senza volto” di Giuseppe Sansonna, nella figura malinconica e controversa del noto imitatore di voci Alighiero Noschese, tra i più celebri della televisione italiana degli anni Settanta, morto tragicamente suicida. Un uomo della tv, incapace di trovare il proprio equilibrio e centro interiore, che si è moltiplicato nelle sue mille imitazioni fino a sparire.
Tra gli anni Sessanta e Settanta era seguito infatti mediamente da 26 milioni di spettatori, numeri impressionanti per l’epoca. Una carriera feconda, ricchissima di performance, durante la quale Noschese divenne un’inconfondibile icona popolare. La sua parabola artistica, dal culmine del successo alla caduta in disgrazia, che finì tragicamente con il suicidio nella clinica dove era ricoverato, permette di intraprendere una riflessione socio-culturale sulla storia dei mass-media nel nostro Paese: un momento chiave per la televisione, in cui dalla Tv unica di Stato si passò all’avvento delle reti private e alla novità dello schermo a colori con il fiorire di trasmissioni tv verità. Un racconto morale apparentemente di un’altra epoca, ma che ha forti elementi caratterizzanti della realtà contemporanea.
Il racconto si è però evoluto verso una lettura che si liberasse dal mero biopic e che prendesse una strada narrativa e visiva più sperimentale, in bilico tra realtà e rappresentazione.
Il percorso individuale del protagonista, rinchiuso nel gioco di scatole cinesi della preparazione dello show - in un mondo che cambia rapidamente -, lo condurranno infatti dalla sovraesposizione mediatica del proprio personaggio, declinato in mille volti, fino al desiderio di scomparire, nel luogo che reputa più sicuro, il giardino curato dalla persona amata.
Il richiamo ad una “vita vera” fuori dalla sala di posa dei nostri schemi mentali che corrispondono nient’altro che ad una società codificata come occidentale, materialista, iper digitalizzata e spettacolarizzata.
Questa varietà della fruizione - ovvero la moltiplicazione degli schermi - è quanto mai attuale al giorno d’oggi, proprio perché viviamo in una contemporaneità febbricitante per la sua natura crossmediale, di dispositivi che dialogano incessantemente tra loro, una rete di palcoscenici digitali dove ognuno di noi allestisce la propria recita.
Il percorso umano di Arturo è infatti quello di una progressiva scomparsa, ma al contempo una liberazione. Un venir meno radicale ad una realtà che diviene via via più claustrofobica e alienante.