Il film è costruito sull’intreccio di tre ritratti di donne di differenti età e provenienza che, spinte da un’urgenza individuale, hanno deciso di occuparsi di migranti al di fuori di ogni consolidata struttura di accoglienza. Sono ritratti intimi, vòlti a restituire lo stupore per come queste donne agiscono, più che complesse riflessioni sul perché di questo agire, e ad indagare la rete con cui esse sono in relazione:gruppi di volontari, gli abitanti del territorio e i migranti che in quel territorio vivono, spesso per costrizione e non per scelta. Le protagoniste si muovono e si raccontano in momenti di intimità, in un necessario spazio di pausa dal fluire quotidiano, in cui il mondo rimanga fuori dalla porta e in cui, più che rispondere adelle domande, si possa trovare il tempo di farne emergere altre, per rivendicare motivazioni che appaiono limpide in contrasto con il chiacchiericcio aggressivo e superficiale che prevale, nella narrazione dominante, intorno alla questione delle migrazioni.
Il film intende proporre uno sguardo diverso, intimo e sincero, sul tema migratorio, ponendo al centro la normalità, della relazione umana, oltre tutti i confini, fuori e dentro le persone.
Fondamentale per questo lavoro è stato il rapporto “FuoriCampo”, con il quale Medici Senza Frontiere ha censito molte accoglienze informali in tutto il Paese. In particolare ci siamo concentrati su Como, Pordenone e la Val Susa, dove, sugli antichi sentieri di montagna usati da migranti e contrabbandieri italiani, quest’inverno molti rifugiati hanno cominciato a cercare di entrare in Francia.
Con forza emerge il tema della fine di Schengen: le frontiere del Paese, in particolare lungo l’arco alpino, si vanno chiudendo, non solo per i migranti in transito, fino a cominciare a mettere in discussione il concetto stesso di cittadinanza europea.