Kebba il ghiaccio non l’aveva mai visto prima, James sì: ma a cubetti, e dentro una Coca-Cola. Edward invece quando il primo freddo è calato pensava di non sopravvivere più di qualche giorno. D’altronde in Gambia, o in Sierra Leone, dove Kebba, James, Edward, Seedia, Lamin, Joseph, sono nati e cresciuti, quando fa freddo, ma davvero freddo, ci sono 15 gradi. Non come in Val Pellice. Qui la gente, con il freddo e il vento, è abituata a conviverci.
Potevano finire in Puglia, in Campania, come molti loro connazionali, invece sono stati mandati nelle valli del Nord, dove i paesi si spopolano e il clima non è di certo ospitale. La loro vita è monotona, hanno poco o nulla da fare. Una monotonia rotta solamente da un’attività tanto popolare tra le valli del pinerolese quanto inconsueta per dei ragazzi africani: il curling.
Il Ghiaccio Dentro (titolo provvisorio) è un documentario che vuole parlare di sport, ma anche, se non soprattutto, di adattamento a stili di vita diversi, a luoghi, per le più svariate ragioni, inospitali. Di ghiaccio è fatto il campo da curling sul quale questi giovani si ritrovano settimanalmente, di ghiaccio è spesso il muro che separa i migranti ricollocati in piccoli paesi della provincia e le comunità locali.
ll tema dei migranti è ormai stabilmente sulle prime pagine dei quotidiani, nazionali ed internazionali, di migranti si scrive, si legge, sui migranti vengono prodotti film e documentari. Kebba, Seedia, James, sono dei migranti come tanti altri, che arrivano in Italia per scappare da guerre e persecuzioni, o anche solo per provare a costruirsi un futuro migliore. E allora perché la volontà di fare un altro documentario che ha come protagonisti dei migranti? Forse perché Il ghiaccio dentro non vuole essere un documentario sui dei migranti, quanto piuttosto un lavoro che vuole avere al centro il rapporto di alcuni migranti con un territorio ed un clima ostile, con il freddo, il ghiaccio, la neve, con dei paesi in via di spopolamento.
Un documentario che vuole raccontare la quotidianità di Kebba, Seedia, James, e degli altri, da una prospettiva diversa, usando la squadra di curling che hanno contribuito a creare come “trait d’union”, come esperienza centrale nel loro percorso di adattamento, come “ancora di salvezza” in una monotonia che rischia di spezzare la speranza.