Adattamento dall’omonimo saggio dello psicanalista Massimo Recalcati edito da Einaudi nel 2014, racconta la storia del Professor Guido Arnaudo che si trova a dover affrontare il più grande conflitto con cui un docente possa dover avere a che fare: tenere la sua ora di lezione in un’aula completamente vuota, e senza saperne il perché. E così, i dubbi affiorano, laceranti, primo fra tutti l’essere inadatto al ruolo che sta ricoprendo; dubbi che si materializzano sotto forma di un ricordo, che diventa quasi più un incubo, che attraversa potente la sua mente, quello del suo passato di pessimo allievo che fu alle elementari a causa, proprio, della pessima maestra che ebbe all’epoca, una donna che cercava d’imporre la sua visione castrante del mondo ai propri piccoli allievi senza lasciarli liberi di pensare. Ed è così che i suoi allievi lo vedono? È quello il tipo di professore che è diventato? E quando si rende conto che, nonostante la lezione debba già essere cominciata, nessuno dei suoi allievi è arrivato – e sicuramente non arriverà – infastidito e umiliato, se ne va. Ma quando sta per uscire, si scontra con Giulia, l’unica studentessa venuta a lezione, nonostante sia in ritardo e decisamente affannata. E quell'incontro fa tornare alla mente del professore un altro determinante momento della sua vita passata, quando sua madre, invece di rimproverarlo dopo un colloquio con quella dispotica maestra, sceglie di rincuorarlo, e lo sprona a non mollare, a continuare a studiare, perché solo così potrà fare grandi cose nella vita, tutte quelle che lei, rammaricandosi, invece non è riuscita a fare perché la sua di madre non glielo permise. Lui, oggi, è quello che è grazie a quelle esperienze passate, e così, tornato in aula, il Professor Arnaudo ha finalmente, e giustamente, la possibilità, coinvolgendola col suo carisma e i suoi argomenti, di far comprendere a Giulia l’importanza di non perdere mai l’ora di lezione.
Adattare un saggio psico-sociologico in un film di fiction, ancor di più se corto, non è stata impresa facile, perché devi costruire la fiction laddove la fiction non c'è, cercando di trovare e utilizzare quegli elementi, a volte anche minimi, che possono essere drammatizzati e utilizzati per lo specifico linguaggio delle immagini in movimento; ma allo stesso tempo, come ogni adattamento cerca di essere, devi soddisfare quell’audience che il libro l’ha letto e che magari se n’è innamorata. Sicuramente, è un equilibrio non semplice da trovare e poi mantenere, perché alcune scelte narrative saranno più finalizzate principalmente alla riconoscibilità del materiale originale, e dunque di minor comprensione da parte di quella parte di pubblico che non ha familiarità con esso, ma poi ci sono le regole e i principi della narrazione che vanno sempre tenuti bene a mente e applicati. Ma la sfida era intrigante, anche per la grande opportunità di aver potuto girare con due attori del calibro di Giulio Base – che, aneddoto curioso, ha (anche) accettato la parte dopo aver fatto leggere la sceneggiatura ai figli, che hanno rivisto nel personaggio del Professor Arnaudo molte caratteristiche del proprio padre – e Margherita Fumero, e aver scoperto (e spero valorizzato) le qualità degli altri tre protagonisti della storia, tutti perfetti nelle loro parti. Stilisticamente, ho scelto comunque di dare un taglio e un’interpretazione molto personale a quei passaggi della storia che lo spettatore può ritrovare nel libro originale, e che altro non sono se non momenti autobiografici che l’autore ha voluto inserire, provando così a trasformare una storia intima e personale in un nuovo racconto in chiave archetipica e universale, regalando ad esempio l’immagine di una maestra delle elementari che assomigliasse di più a una strega cattiva delle fiabe invece che a una semplice insegnante burbera e indisponente, la cui immagine distorta agli occhi della memoria di Guido assumono la forma quasi di un incubo psichedelico; qui, ad esempio, immagini, colori e musiche – che grazie al talento del compositore e produttore emigrato a Los Angeles, Dom Capuano, hanno portato a soluzioni tanto classiche nei riferimenti quando eccentriche nel loro uso contestuale (l’uso del tema barocco della “follia” per sottolineare ed esasperare l’anacronismo di quel personaggio) – nonché la recitazione della fenomenale Fumero, asserviscono perfettamente a questo scopo, rendendo uniforme e contestuale ogni scelta stilistica. Scelta che è stata resa comunque possibile grazie all’approccio psicanalitico che l’autore ha scelto di usare per raccontare l’evoluzione scolastica italiana, rifacendosi all’uso della mitologia classica, con l’esposizione del trittico Scuola-Edipo, Scuola-Narciso e Scuola-Telemaco, elementi che risulteranno così più familiari e interpretabili agli occhi degli spettatori, soprattutto nella seconda parte del film, quando il Professor Arnaudo tiene la sua lezione alla giovane allieva. E se il “difetto” del film, in quanto cortometraggio (con un suo ben determinato linguaggio), sta nell’essere molto classico e lineare, film “di scrittura” piuttosto che basato sulla forza di un’idea (perlopiù visiva), ecco che il suo pregio ne è in qualche modo il rovescio della medaglia per l’idea di fare un film reazionario quando solitamente lo stesso tema è stato raccontato in maniera rivoluzionaria, perché ciò che qui vuole emergere ed essere valorizzata è la forza del messaggio che il film porta con sé, sottolineato, magari a volte con un pizzico di retorica – ma comunque necessaria per raccontare un tema sempre attuale – dalle diverse componenti creative, una fra tutte, perché quella che amo maggiormente, ovvero la musica, che Dom Capuano è riuscito a far suonare perfettamente naturale e classica pur essendo stata registrata e prodotta in maniera tecnologica e moderna, anche grazie ai moderni supporti digitali.