L’ostinazione, l’eccesso, i patimenti nella vita e nelle opere dell’esploratore cineasta e fotografo Alberto Maria De Agostini (1883-1960) arbitrariamente reinventate. Partito come missionario a 26 anni da un paesino del Piemonte, raggiunse nel 1910 la Patagonia e la Terra del Fuoco. Scalò montagne, scoprì fiordi ed esplorò ghiacciai dando loro i nomi. Di fronte allo struggimento e al dolore della scomparsa degli ultimi indios non seppe usare altre parole che quelle impressionate sulle sue lastre fotografiche o sui fotogrammi del suo bellissimo film ‘Terre Magellaniche’. Tutto questo però finisce in un immaginario e caotico magazzino della memoria, in mezzo a tristi residui accatastati della ‘civiltà dei bianchi’, dove due ragazzi frugano (assistenti del passato, topi instancabili, ingenui esaltati) alla ricerca di tracce dell’artista, in Italia quasi uno sconosciuto. Gli indios, fantasmi ancora presenti, faranno loro compagnia nel ricordare il loro assassinio e quello di una natura e di una terra derubate dai colonizzatori.
’Mentre i miei medici per amore sono divenuti cosmografi, e io la loro mappa, che giaccio piatto su questo letto, perché possano mostrare che questa è la mia scoperta sud-occidentale, per fretum febris, per morir per questi stretti, gioisco che in questi stretti io vedo il mio Occidente, poiché seppur le loro correnti a nessuno concedano ritorno, che male potrà farmi il mio Occidente? Come Occidente e Oriente in tutte le mappe piatte (e io ne sono una) son una cosa sola, così la morte tocca la Resurrezione’ (John Donne 1623). Del De Agostini non è rimasto niente. Niente di personale. Non ci sono diari, taccuini, note, confessioni. Ci siamo spesso chiesti in questi tre anni di lavoro e indagini di cosa fosse fatto. L’unica risposta che abbiamo avuto è un’immagine, questa dell’Uomo-Mappa. Lui è il suo luogo, il luogo che ha amato, che più che emblema simbolo metafora, ne è il corpo. Quello che crediamo è che si sia accartocciato su se stesso, ricongiungendo le due estremità della mappa e trovando il suo paradiso semplicemente nel senso della sua opera.
Regia
Isabella Sandri, Giuseppe M. Gaudino
Soggetto
Isabella Sandri, Giuseppe M. Gaudino
Sceneggiatura
Isabella Sandri, Giuseppe M. Gaudino
Fotografia
Isabella Sandri, Giuseppe M. Gaudino
Montaggio
Isabella Sandri, Giuseppe M. Gaudino
Scenografia
Giuseppe M. Gaudino
Costumi
Giuseppe M. Gaudino, Alessandra Torella
Musica originale
Epsilon Indi
Altri credits
Consulente scientifico: prof. Nicola Bottiglieri - Università di Cassino
Interpreti
Federico Tolardo (Ettore), Emanuele Buganza (Cosimo)
Produttore
Giuseppe M. Gaudino
con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Museo Nazionale della Montagna, Film Commission Torino Piemonte e della Regione Piemonte (
Piemonte Doc Film Fund - Fondo regionale per il documentario - produzione aprile 2007) || Museo ‘Maggiorino Borgatello’ Punta Arenas (Cile), IILA Istituto Italo-Latino Americano (Roma)