Quando comincia la storia siamo nella villetta borghese di una certa Elisa dove i suoi amici stanno facendo quello che fanno tutti i sabati sera. Si trovano lì, fanno casino, bevono , scherzano, demoliscono la casa, fanno tutto quello che devono fare per non accorgersi che stanno un pò diventando grandi.
Enrico vede che i suoi amici sono tutti più nervosi del solito: la famiglia di Davide è sprofondata nella povertà ma Davide fa discorsi senza senso che non c’entrano niente, Gianluca è stranamente perplesso, Cinzia - la fidanzata di lui – di colpo se ne va in macchina a pensare a dio sa cosa...
Intanto Alessandro – quarant’anni circa – si presenta a casa della madre di Gianluca per cercare suo marito, il marito è al bar, Alessandro va in paese, parcheggia davanti al bar, è armato.
A casa di Elisa Enrico deve dire una cosa a Cinzia, esce di casa a cercarla, lei è scesa dalla macchina, gli va incontro gli da una sberla, salta sulla sua macchina, ne demolisce un’altra e scappa. Tutti escono, si urlano, Enrico, Davide e Gianluca, gli amici di sempre cominciano a suonarsele di santa ragione...
Tre mesi prima Enrico era appena tornato dalle sue parti. Era un altro sabato, un sabato di Novembre. Rivedeva i suoi amici. Vedeva se erano cambiati, loro speravano di no.
Le sue parti, le loro parti, sono una grande periferia, una periferia così lontana dalla città da non potersi quasi chiamare periferia, ma allora cos’è? C’è freddo e nebbia, belle colline, un po’ di pianura e qualche stupro industriale chissà perché. Si fa il vino e un po’ di industria di sussistenza. Una volta la gente viveva nei paesi e nelle cascine. Adesso i vecchi vivono in paesi quasi fantasma, e gli altri vivono in casette e villette seminate un po’ dappertutto. Per fare qualsiasi cosa serve la macchina come ai Cow boy serviva il cavallo. E questi guidano. Guidano tutto il tempo e fanno l’esperienza della solitudine.
Il padre di Gianluca ha un’officina, Cinzia vive in cascina, i suoi sono ancora contadini, i genitori di Davide avevano l’alimentari del paese ma ora che tutti hanno la macchina vanno all’ipermercato in mezzo al nulla a fare la spesa e i genitori di Davide hanno dovuto chiudere. Alessandro è figlio di un ex partigiano e per fare contenti i suoi genitori si è sposato la maestra del paese, un’amica di quando erano piccoli, ma le cose non stanno andando tanto bene. Cinzia vorrebbe che Gianluca si occupasse un po’ di più di lei ma non sa come farglielo capire, Gianluca ha sempre fatto tutto di testa sua, è il suo bello. Davide non è tanto il problema dei soldi, è che vorrebbe perdere la verginità, ha quasi trent’anni e non sa come si fa. Elisa come Davide ha paura che se qui diventano grandi cominciano ad andarsene poi via da questi posti e se rimaniamo soli cosa facciamo?
Sono tre sabati nella vita di queste ed altre persone. Una notte di novembre, una a dicembre un po’ sotto Natale, la terza a febbraio. E qui entriamo nelle loro vite e li vediamo alle prese con i loro piccoli e grossi guai. E vedremo la maestra Maria trovare finalmente l’amore a quarant’anni e perdere la testa per Gianluca. La terribile reazione del paese. La moderna incapacità di suo marito Alessandro di affrontare la crisi con la virilità che suo padre pretende da lui. Il percorso di Cinzia, che su Gianluca aveva sommesso tutta la sua gioia, per imparare ad essere una persona oltre che una fidanzata, l’isterico tentativo di Davide per diventare come tutti gli altri facendo un sacco di guai...
E arriveranno tutti sul punto di fare qualcosa di terribile, e qualcuno lo farà anche. Ma qui siamo in paese, mica a Nuova York.
E domani tutti sapranno, ma nulla verrà scritto sui giornali.
E magari con un bicchiere di vino... si comincerà già subito a parlarne al passato.
«È un mondo molto popolato di piccoli personaggi con grandi storie per un piccolo contesto. I nostri personaggi vivono contemporaneamente l’orgoglio e il senso di colpa della periferia, due vettori contrastanti che ne provocano l’immobilità e l’isteria. Il loro ideale grido “A New York a New York” (culturalmente imposto) ricorda molto l’”A Mosca a Mosca!” di Cechov, e cecoviani sono in parte personaggi e struttura. Deboli, indecisi, rassegnati, ironici. Parlano molto per coprire i silenzi. Dicono per nascondere quello che non dicono. Temono più di ogni altra cosa di “fare brutta figura” e i loro sforzi per evitarla li spingono fatalmente in quella direzione. […] E dato che il sogno americano dei nostri Texani del Piemonte ci ricordava tanto il sogno moscovita (o parigino) dei provinciali di Cechov, sempre da Cechov abbiamo cercato di mutuare parte della struttura. Il film è diviso in quattro atti, dove il primo riprende il quarto e fa da cornice, gli altri tre raccontano la storia di questi personaggi suddivisa in tre distinte giornate raccontate (quasi) in presa diretta. Lo sviluppo dei rapporti si misura quindi sulle modifiche che questi portano in un contesto di abitudini. Il film (rispetto a Cechov) rinuncia deliberatamente al cosiddetto “quarto atto” interrompendosi prima. Nei quarti atti in genere spara il fucile che avevamo visto carico all’inizio e così facendo da importanza, legittima e spiega tutto quello che era stato fin lì narrato e descritto. Io i quarti atti li ho sempre trovati – a mio gusto – un po’ tendenziosi quando non patetici. Sono i primi a passare di moda perché perdono spesso la magia dell’esplorazione innocente della realtà per piegarsi un po’ alla Volontà (o senso del dovere) degli autori. La nostra storia è architettata in modo che il “Quarto atto” non abbia bisogno di accadere se non a livello quasi privato per i nostri personaggi. L’aumento di carico emotivo non trova un vero e proprio sfogo o per lo meno non trova una catarsi pubblica e collettiva. La pistola che è stata caricata all’inizio sta per sparare ma alla fine rinuncia. La storia non diventa Storia. E probabilmente non verrà raccontata dai personaggi una volta finita la vicenda ma resterà un ricordo raramente riesplorato per pudore»
(Fausto Paravidino)