E’ difficile trovare a Torino qualcuno che lavori in ambito culturale e non conosca Alberto Signetto. Grande e grosso, capelli legati sulla nuca, un borsone appeso al collo con dentro libri, taccuini, una telecamera per prendere appunti. Battuta pronta, intelligenza sottile, grande cultura, irresistibile ironia.
Viene naturale sedersi da qualche parte con lui a bere un bicchiere e fare conversazione, anche polemica, è un passionale. Ma alle soglie dei sessant’anni, ai suoi consueti problemi economici, si sono aggiunti gravi problemi di salute.
Si è trasferito in una casa prestata da amici, senza riscaldamento, in mezzo a trincee di scatoloni. Lo scorso febbraio, saputo della malattia e della situazione disperata in cui versava amici, giornalisti, artisti, scrittori, cineasti e musicisti si sono mobilitati per una raccolta fondi.
Questo film racconta la sua vita di artista rigoroso, poco incline ai compromessi, di cineasta ostinato e controcorrente.
E’ il Red Rhino, il rinoceronte rosso. “Mi riconosco in questo animale cocciuto, grosso, ingombrante e poco addomesticabile, infido. Talvolta il rinoceronte dà la carica alla jeep dei bianchi, anche se è più grossa e sa benissimo di perdere”, dice.
Conosco Alberto Signetto da 30 anni, quando abbiamo iniziato come registi in Rai, nei primi anni ’80.
Mentre io mi occupavo di programmi di intrattenimento, lui esordiva filmando i Rolling Stones durante la loro prima tournée italiana, nel 1982. Era già stato assistente di Anghelopoulos e di Jean-Marie Straub.
Quando me ne andai a Roma, inseguendo “la carriera”, lui restò a Torino.
Occasionalmente mi arrivavano sue notizie, sempre alle prese con problemi di soldi e progetti irrealizzabili e il mio giudizio era ingeneroso: perdente, inconcludente.
Nel 2010 Piemonte Movie gli ha dedicato un omaggio, con una retrospettiva di tutti i suoi lavori. Io ero in sala. In quell’occasione ha dichiarato di sentirsi “stremato” per questa lunga lotta contro il mondo. Quella sera l’ho riscoperto, come persona e come artista.
In questi trent’anni ha continuato con ostinazione a “fare il suo cinema”, ottenendo apprezzamenti nei festival internazionali, in Cina, Giappone, America, India. In Italia è pressoché uno sconosciuto. Quella sera ho sentito che meritava un risarcimento. Chi di noi due era perdente?
La sua vicenda riguardava tutti noi cineasti.
Restituire memoria della sua arte è il mio modo di chiedergli scusa.
Marilena Moretti