Giovanna vive a Torino, ha tredici anni, la passione per le merendine, una professoressa di lettere che non la lascia mai in pace e un’amica, Pippa, molto integrata e già fidanzata.
Ma soprattutto, Giovanna ha una sorella, Pulce, di nove anni.
Se chiedete a sua madre Anita qual è il problema di Pulce, lei vi risponde tutto d’un fiato encefalopatia epilettogena da sofferenza feto-connatale con ritardo mentale grave e disturbo pervasivo dello sviluppo che rientra nelle patologie dello spettro autistico, ma per Giovanna Pulce non è mai stata un problema: è sua sorella e basta. La prima cosa speciale a proposito di Pulce è che lei non parla. Ma questo non significa che non abbia niente da dire. La seconda è che è una persona libera dai conformismi del mondo. Se è felice può salutarti con un pugno, tu pensi che stia per piangere e lei spalanca il viso in un sorriso. Credi di farla felice e invece si mette a piangere. Ascolta Bach, ma se le dai una banana la mangia con la buccia.
Pulce non parla, ma, a modo suo, sa scrivere. Sua madre Anita, grazie al provvidenziale incontro con la dottoressa Lucetta Voce, ha scoperto un metodo innovativo. Si chiama comunicazione facilitata. Basta una macchina da scrivere elettronica e una persona che sostenga il polso della bambina, in modo da aiutarla a premere i tasti, e il mondo di Pulce, lettera dopo lettera, prende vita. Il linguaggio di Pulce è tenero e sgrammaticato e forse per questo commuove tutti.
Pulce è il centro della famiglia. Per lei la madre Anita studia in continuazione trattati di neuropsichiatria, prepara cartelloni per tenerla al passo con le materie scolastiche, si aggiorna su nuove tecniche di comunicazione per bambini autistici.
Per lei il padre Gualtiero attraversa Torino di notte alla ricerca della sua bibita preferita o resta alzato fino all’alba a recitarle la ricetta delle patate al latte che, non si sa perché, alle orecchie di Pulce suona come una favola meravigliosa.
Anche Giovanna fa la sua parte. E intanto osserva tutti, con uno sguardo ironico e disincantato. Le nevrosi familiari, le ansie della madre, il sarcasmo del padre. Quella è la sua famiglia. Non saprebbe immaginarsene una diversa.
Fino a che, un pomeriggio di pioggia, la vita della famiglia Camurati cambia.
Anita va a prendere Pulce a scuola e scopre che Pulce non c’è. E’ stata portata via. Dai servizi sociali. La bambina è in una comunità, dal nome rassicurante, Giorni Felici. La possono andare a trovare solo la madre e Giovanna. Al padre è vietato qualsiasi contatto con la bambina.
Lentamente emergono i contorni dell’accusa: Gualtiero è sospettato di aver abusato di Pulce. La famiglia vacilla. Gualtiero non riesce a reagire. Anita fa fatica a tenere insieme i pezzi di un mondo che va in frantumi e a Giovanna, come sempre, non resta che l’ironia per sopravvivere.
Giovanna non ama i melodrammi, non le appartengono. Con lo sguardo antiretorico dei suoi tredici anni assiste impotente al franare nella sua famiglia in un rompicapo degno di Kafka. Improvvisamente la lente della giustizia cala su di loro, studia le loro vite e le normali nevrosi di una famiglia costretta a conciliare ritmi, orari, abitudini con le esigenze di una bambina autistica, osserva severa le spigolosità di carattere, le debolezze, le ansie e le insicurezze che forse con Pulce non c’entrano affatto, appartengono ad Anita, Gualtiero e Giovanna e basta, ma chi non ne ha… Improvvisamente tutto sembra poter diventare la premessa di un capo d’accusa.
Giovanna intanto cerca di restare a galla, stretta tra i suoi tredici anni e le esigenze di un’indagine penale. Si divide con apparente naturalezza tra l’interrogatorio dal magistrato e il desiderio di cercare di essere vestita come tutti gli altri, tra la passione per le merendine al cioccolato che implacabili le si depositano sui fianchi e la sgradevolezza di una visita dal ginecologo, per dimostrare che non è mai stata abusata da nessuno, tra le passeggiate con Pippa ai Murazzi e le visite alla sorellina, in comunità, sotto lo sguardo severo della educatrice della struttura.
Pulce ingombrante quando c’è e ancora più ingombrante quando non c’è più.
Solo quando gli atti vengono desecretati si scopre che tutta l’accusa è partita da alcuni pensieri scritti da Pulce con il metodo della comunicazione facilitata, sotto la guida della maestra Popi, di cui tanto Anita si fidava. In quei pensieri ci sono parole lontane dal lessico di Pulce. Lucetta Voce prova a spiegare che chi sostiene il polso della bambina, anche in buona fede, senza volerlo, può guidare la mano, orientare il senso delle sue parole. Non è uno strumento processualmente valido. E il corpo di Pulce non mostra, né ha mai mostrato, alcun segno di violenza.
La verità è semplice, evidente, sotto gli occhi di tutti, eppure la macchina della giustizia deve fare il suo corso, fugare ogni dubbio ragionevole o irragionevole che sia. Le normali follie di ogni lessico familiare diventano occasione di sospetto, carenze da cui ci si deve giustificare. E il giusto scrupolo di chi ha il dovere di indagare su reati tanto devastanti diventa follia.
Alla fine Pulce viene riconsegnata. “La bambina è qui” dice l’educatrice della comunità al padre, prima di lasciargliela riabbracciare. Ma Giovanna il cui sguardo ci guiderà in tutta la storia, sorride, scuotendo la testa. Perché lei lo sa che Pulce non è qui. Pulce non c'è e non ci sarà mai, non c'è per i periti e non c'è per i libri di mamma Anita, non c'è per le maestre, non c'è per i paparazzi perché suo padre non l'ha violentata, non c'è per tutti noi perché lei non è e non vuole essere come noi ce la immaginiamo. Pulce è finalmente di nuovo con loro e sorride allegra come sempre, sembra essere contenta di tornare a casa. Ed è questa l’unica cosa che conta.