In tre mesi la routine di Agata – fra la grande città e il paesello d’origine dei genitori – viene sconvolta: al paesello, mamma e papà sono deboli, malati, da accudire senza sosta; mentre lei nella grande città, dove vive, si destreggia tra marito in crisi di mezz’età e tre figli adolescenti.
Suo padre ha un tumore che lo consumerà in tre mesi ed è questo che innesca la vicenda. Tra referti e Tac, minestrine sgradite e lambrusco, camere d’ospedale e tramonti, parcheggi, skyline cittadino, Agata, giornalista freelance quarantacinquenne, si divide tra la cura e il sostegno dei propri genitori e disavventure quotidiane.
Una donna che senza mai abbandonarsi alla disperazione, abbraccia e accudisce due generazioni, quella prima e quella dopo di lei, fino all’ultimo saluto al padre. La cui morte segnerà un cambiamento in ciascuno dei familiari.
L’audience di riferimento è un pubblico middle age (35-55 anni), ma avendo come protagonisti anche anziani e adolescenti, è perfettamente generalista.
Si concentra sul tema del "prendersi cura" di genitori anziani. Un tema spesso trascurato, se non taciuto. Ma la storia rappresenta anche un dialogo costruttivo tra tre generazioni. Fruibile da un largo pubblico perché il tema importante e per certi versi drammatico, è trattato attraverso l'ironia con cui vengono affrontate le situazioni e le disavventure quotidiane che i personaggi si trovano a vivere. Il montaggio (già è così nel libro) è alternato fra episodi ambientati nella città e quelli nel paesello a 2 ore di auto.