Che cos'è Cactus 34? Una distopia? La parodia di una distopia? Oppure una distopia con una direzione di sguardo ostinata e contraria?
Vito Miccolis e Andrea Roncaglione hanno immaginato e poi scritto un piccolo, grande capolavoro di leggerezza. Una favola (?) surreale che sabota dall'interno tutti i codici della narrazione e lo fa con la felicità un poco stralunata del sogno che forse diventerà (è già?) realtà.
Un racconto che ci costringe a reimparare a leggere. Ad ascoltare. A pensare a noi e al mondo che ci circonda. E, magari, a sorriderne. O forse no?
Di per sé "Cactus 34" è una sceneggiatura già scritta: dialoghi, struttura narrativa (una sequenza di episodi che si susseguono in successione temporale, secondo una giustapposizione di scene) e ambienti sembrano già in sé dare vita a una sintassi cinematografica, come se l'atto stesso della lettura fosse in realtà l'osservare una serie di campi e controcampi, di movimenti di macchina focalizzati sulle figure dei due protagonisti della narrazione. Protagonisti che, appunto, sono due vecchi comici: di per sé già presenze attoriali, che recitano sulla pagina e potrebbero benissimo farlo anche sullo schermo. I dialoghi, surreali, sono spesso irresistibili e possiedono un ritmo naturale in tutto e per tutto cinematografico e performativo.
La stralunata (e insieme profonda) leggerezza della narrazione costituisce poi la grande, vera originalità del libro: un tono che si può senza difficoltà rendere sullo schermo (o su un palco) con un'accurata prova d'attore.