Ambientato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, Crimini in Canavese segue le indagini del viceprefetto Veyrat (figura storica realmente esistita), uomo severo e analitico, che si muove in un Canavese rurale e brutale, lontano dalla visione idilliaca della provincia. Ogni episodio presenta un caso autoconclusivo (basato su fonti storiche e giornalistiche dell’epoca), che Veyrat risolve con la sua freddezza e razionalità, mentre affronta crimini che mettono in discussione l’ordine sociale.
Le indagini del viceprefetto Veyrat si presta perfettamente a un adattamento televisivo con una struttura a trama verticale, ideale per un pubblico mainstream nella fascia d’età tra i 35 e i 60 anni. Ogni episodio può concentrarsi su un caso specifico, risolto nell’arco di una puntata, mantenendo però un filo conduttore tematico legato all’ambientazione nel Canavese, un territorio violento e spietato.
Veyrat, un uomo solitario, devoto al lavoro e amante della buona cucina, rappresenta una figura di riferimento per un pubblico maturo, attratto dai classici del genere investigativo come Maigret e Montalbano. Il suo carattere razionale e misurato contrasta con la brutalità del territorio, rendendo ogni episodio non solo la risoluzione di un crimine, ma anche un’indagine profonda sull’animo umano. La dimensione verticale permette inoltre di esplorare ogni volta un lato diverso della violenza che pervade il Canavese.
Il Canavese, descritto come una tranquilla zona provinciale, viene trasformato in una terra di frontiera, dove la legge è fragile e il male dilaga. Questa inversione di prospettiva contribuisce a mantenere alta la tensione e a rendere ogni episodio unico, pur collegato da una comune atmosfera oscura e minacciosa. Il formato verticale, unito alla complessità psicologica di Veyrat, rende la serie adatta a chi cerca intrattenimento di qualità, capace di bilanciare casi autoconclusivi e profondità narrativa.